Se il mondo delle stampanti 3D ti incuriosisce, sei capitato nel posto giusto. Continuando a leggere potrai scoprire come stampare in 3D, anche partendo da 0, e apprendere quali sono gli strumenti e i software necessari per farlo.
Negli ultimi anni la quantità di stampanti 3D presenti sul mercato è aumentata a dismisura. Oggi è possibile scegliere tra centinaia di modelli diversi, ognuno con le proprie caratteristiche e destinato ad applicazioni ed usi diversi.
È per questo importante sapere non solo come usare una stampante 3d, ma anche quali sono attualmente le principali tecnologie utilizzate da questi dispositivi, così come i loro vantaggi e svantaggi.
Come si usa una stampante 3D
Stampare in 3D può apparire come una vera e propria magia per chi non ha mai avuto a che fare con questo mondo. Inutile negarlo: chi vede per la prima volta una stampante 3D in funzione non può che restarne affascinato.
In realtà, non servono né molto tempo né molta fatica per portare a termine la prima stampa 3D. È necessario soltanto capire quali sono i principi base di questo sistema e i software e gli strumenti da utilizzare.
La stampante 3D, infatti, è solo uno degli anelli della catena, quello finale. Per stampare è necessario innanzitutto avere un modello 3D dell’oggetto che si intende realizzare. Questo può essere creato da zero, utilizzando un software di modellazione tridimensionale (anche gratuito, come Blender), o scaricato da uno dei tanti archivi online che propongono tantissimi modelli differenti, sia gratis che a pagamento.
Una volta ottenuto il modello è necessario processarlo in un secondo software, che prede il nome di slicer. Questo tool non fa altro che tradurre il modello in 3D in una serie di comandi eseguibili dalla stampante. In parole povere, tenendo conto del tipo di stampante e dei parametri impostati dall’utente, lo slicer crea il file contenente le indicazioni che la stampante legge e utilizza per creare fisicamente l’oggetto.
Il file creato dallo slicer va quindi trasferito alla stampante usando un collegamento USB cablato, una pendrive o una SD Card, e in alcuni modelli anche in modalità wireless sfruttando la connessione Wi-Fi.
L’utente può quindi avviare il processo scegliendo uno dei file a disposizione della stampante. Questa, se correttamente calibrata e se dotata del materiale necessario, inizia la stampa dell’oggetto: in base al modello e alle caratteristiche della stampante, l’operazione può durare da pochi minuti a svariate decine di ore.
Come stampare in 3D: le tipologie di stampante
Le stampanti 3D sono disponibili in un’ampia gamma di modelli che differiscono tra loro per caratteristiche, prezzi e campi di utilizzo. Le stampanti più economiche vengono proposte anche a cifre vicine ai 100 euro, e hanno dimensioni tali da permetterne il posizionamento su una semplice scrivania.
I modelli di fascia alta, così come quelli pensati per un uso professionale, possono invece costare anche decine di migliaia di euro e avere dimensioni tali da richiedere uno spazio dedicato alla sola stampante.
In ambito consumer, possiamo circoscrivere il discorso alle stampanti il cui prezzo non supera i 3000 euro, e le cui dimensioni di stampa si mantengono entro i 400x400x400 millimetri (sebbene esistano anche in questo segmento modelli più voluminosi).
Una seconda divisione va fatta sulla base della tecnologia di stampa utilizzata dal dispositivo. Anche qui la lista completa sarebbe piuttosto ampia, ma di nostro interesse sono essenzialmente due tecnologie: FDM e a resina.
Stampanti FDM
Le stampanti FDM sono state le prime a diffondersi nel mondo consumer, e ancora oggi rappresentano un po’ l’archetipo della stampante 3D casalinga. La tecnologia di stampa che utilizzano permette loro di essere economiche, di facile manutenzione, sicure da utilizzare anche in casa ed estremamente versatili.
La sigla FDM sta per Fused Deposition Modeling, ovvero modellazione a deposizione fusa. Si tratta di un sistema produttivo di tipo additivo (ovvero, per aggiunta di materiale) che prevede l’estrusione di un filamento di materiale plastico. Questo, passando attraverso un estrusore ad alta temperatura, fonde e fuoriesce dall’ugello nella forma di un filo molto sottile (in genere 0,4 mm, ma è possibile di norma installare ugelli con fori sia più grandi che più piccoli).
Il materiale fuso viene deposto sul piatto di stampa in modo che, strato dopo strato, venga a formarsi l’oggetto completo.
Il sistema FDM permette di utilizzare diversi tipi di materiale. Il più diffuso è certamente il PLA che, insieme al PETG, risulta essere anche uno dei più economici e semplici da stampare. Ampiamente usati sono anche materiali come l’ASA, l’ABS, il nylon, o particolari materiali tecnici (caricati al carbonio, ad esempio) che permettono di realizzare oggetti con particolari caratteristiche meccaniche o fisico-chimiche (resistenza alle alte temperature, elasticità, durezza, etc…).
Alcuni di questi materiali speciali sono, oltre che più costosi, anche più difficili da stampare: possono richiedere estrusori che raggiungono temperature particolarmente elevate o la presenza di una camera chiusa che permetta di mantenere costante la temperatura durante la stampa ed evitare fenomeni come il warping.
Le stampanti FDM possono essere usate senza particolari precauzioni, ma limitandosi ad evitare l’inalazione diretta dei fumi prodotti durante la fusione del filamento, che possono presentare un certo grado di tossicità (si parla, comunque, di livello estremamente bassi soprattutto nel caso del PLA).
Stampanti a resina (SLA/DLP)
Le stampanti a resina si sono diffuse più di recente nel mondo delle stampanti a uso domestico perché, nonostante alcuni grandi vantaggi che offrono rispetto ai modelli FDM, continuano ad essere più difficili da utilizzare in un ambiente che non sia un laboratorio dedicato.
La difficoltà non è tanto legata al processo di stampa in sé, che anzi può essere anche meno complicato rispetto a quello delle stampanti FDM, più sensibili alle calibrazioni. Il grande problema che si presenta con le stampanti a resina riguarda la tossicità del processo di stampa.
Il materiale utilizzato in questo caso, infatti, risulta essere estremamente tossico. È per questo indispensabile utilizzare sistemi di protezione come guanti, occhiali protettivi e mascherine in grado di filtrare i fumi della resina. L’ambiente in cui viene utilizzata la stampante dovrebbe essere sempre dotato di un sistema di aspirazione capace di estrarre i fumi e immettere aria pulita.
Anche lo smaltimento del materiale residuo della stampa, così come i liquidi che entrano in contatto con la stessa durante l’obbligatorie operazione di lavaggio, pongono il problema di essere smaltiti correttamente.
Tutte queste complicazioni rendono le stampanti SLA una scelta meno popolare, e da prendere solo dopo aver valutato rischi ed avvertenze.
Le maggiori precauzioni da adottare sono giustificate dalle grandi potenzialità delle stampanti a resina, che raggiungendo una risoluzione di stampa nell’ordine dei micron (decine, se non centinaia di volte più elevata di quella delle stampanti FDM) sono in grado di stampare oggetti estremamente piccoli e ricchissimi di dettagli.
Non a caso, in ambito consumer, le stampanti a resina vengono usate soprattutto per la creazione di oggetti che necessitano di un’elevata qualità estetica, anche a discapito delle caratteristiche meccaniche: tra questi, statue, action figures e gioielli.
Meglio una stampante FDM o a resina?
Chi acquista la prima stampante in 3D si trova a dover scegliere tra i modelli FDM e quelli a resina. In genere, si consiglia ai principianti di iniziare con una stampante FDM, che dà meno grattacapi e permette di commettere errori senza che questi possano rivelarsi pericolosi.
Questo non significa, però, che la tecnologia FDM sia migliore di quelle che utilizzano la resa (SLA o DLP). I due sistemi hanno poco in comune, permettono di ottenere risultati differenti e sono indicati per applicazioni diverse. Non a caso, quasi tutti i laboratori di stampa 3D vengono attrezzati sia con modelli FDM che con modelli a resina.
Con le stampanti FDM è possibile realizzare facilmente modelli di grandi dimensioni, ottenendo un buon livello di dettaglio e potendo sfruttare un’ampia gamma di materiali. Sono così realizzabili oggetti rigidi e flessibili, componenti funzionali, accessori indossabili o anche modelli da esposizione. Il livello qualitativo delle stampe è buono, soprattutto con le stampanti di nuova generazione, e può essere ulteriormente migliorato grazie alla postproduzione (rifinendo cioè la stampa con, ad esempio, operazioni di carteggiatura e verniciatura).
Le stampanti a resina permettono di realizzare modelli estremamente dettagliati, anche di piccolissime dimensioni, e che non presentano layer visibili (la scalettatura tipica dei modelli realizzati con il metodo FDM). Vengono usate soprattutto nell’ambito della modellistica e della creazione di pezzi artistici, così come per la produzione di componenti troppo piccole per essere realizzate con il sistema FDM.
Le due tecnologie sono quindi complementari, e la scelta tra una stampante FDM e a una a resina deve essere orientata in base alle esigenze dell’utente e alla sua possibilità o meno di soddisfare i requisiti necessari a rendere sicuro il processo di stampa.
Come si sceglie una stampante 3D
Le caratteristiche da valutare quando si acquista una stampante 3D variano a seconda che si scelga un modello FDM o a resina.
Esistono però delle caratteristiche che accomunano tutti i tipi di stampante 3D, e che rappresentano un po’ gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione al momento dell’acquisto.
Inutile dire che l’estrema ampiezza della gamma dei modelli disponibili impone, innanzitutto, di stabilire un budget di riferimento. Il range di prezzo consigliato per acquistare una stampante 3D buona per iniziare senza troppi grattacapi è quello che va dai 250 ai 500 euro. Anche modelli più economici possono rivelarsi adatti allo scopo, così come, budget permettendo, è possibile orientarsi in base alle necessità anche su stampanti di fascia più alta.
Stabilito il prezzo, si passa alle dimensioni. Queste sono di due tipi: le dimensioni complessive e le dimensioni di stampa. Le dimensioni complessive indicano l’ingombro del dispositivo, ovvero quanto spazio occupa: le stampanti possono essere anche molto voluminose, ed è indispensabile scegliere un modello che possa essere posizionato facilmente nello spazio a propria disposizione.
Le dimensioni di stampa indicano il volume massimo stampabile. Una stampante che ha dimensioni di stampa pari a 210x210x200 millimetri può creare oggetti lunghi e larghi non più di 21 centimetri, e alti non più di 20. Se le dimensioni di stampa possono sembrare troppo contenute, è bene ricordare che oggetti voluminosi si ricosse spesso a stampe multiple, con i vari pezzi che vengono poi assemblati insieme (utilizzando colle, incastri, viti, o anche graffette per saldatura).
Un terzo aspetto da tenere in considerazione per tutte le stampanti è la lista dei materiali utilizzabili. Le stampanti FDM “aperte”, cioè non dotate di una camera chiusa, possono avere ad esempio difficoltà a stampare materiali tecnici. Ugualmente, alcune stampanti SLA o DLP possono avere problemi con particolari tipi di resina.
Domande frequenti su come stampare in 3D
Le stampanti in 3D possono stampare oggetti di vario tipo: si va dalle componenti meccaniche a veri e propri oggetti d’arte, così come anche accessori indossabili e per cosplay, action figures e modelli di vario tipo.
La durata della stampa di un oggetto in 3D dipende sia dalla stampante utilizzate, che può raggiungere una velocità massima più o meno elevata, sia dal modello che si sta stampando (dimensioni e complessità), sia anche dai parametri di stampa scelti dall’utente.
La stampa 3D utilizza diversi tipi di materiale. Le stampanti FDM usano filamenti di materiale plastico: i più diffusi sono il PLA, il PETG, l’ABS, l’ASA e il nylon. Le stampanti SLA e DLP utilizzano invece resine di vario tipo.